Grillo, il patrimonio dilapidato
Crisi di un leader che si era illuso di poter avere il Paese in pugno
Di Gian Antonio Stella su IL Corriere Della Sera.it
«Sono
un po’ stanchino», ha scritto sul suo blog citando Forrest Gump.
C’è da credergli: come Tom Hanks nel film di Robert Zemeckis era
partito così, senza una meta precisa («Quel giorno, non so proprio
perché decisi di andare a correre un po’») e si era ritrovato con
l’illusione di avere in pugno il Paese. Dove abbia cominciato,
Beppe Grillo, a sprecare l’immenso patrimonio che di colpo si era
ritrovato in dote alle elezioni del 2013 non si sa. Forse il giorno
in cui apparve sulla spiaggia davanti alla sua villa con quella
specie di scafandro, misterioso e inaccessibile come un’afghana
sotto il burka. Forse quando, avvinazzato dai titoli dei giornali di
tutto il mondo, rifiutò per settimane ogni contatto con la «vil
razza dannata» dei giornalisti nostrani compresi quelli corteggiati
nei tempi di vacche magre. Forse quando, scartando a priori ogni
accordo, plaudì ai suoi che rifiutavano perfino di dire buongiorno
agli appestati della vecchia politica o si disinfettavano se per
sbaglio avevano allungato la mano a Rosy Bindi. O piuttosto la sera
in cui strillò al golpe e si precipitò verso Roma invocando onde
oceaniche di «indignados»: «Sarò davanti a Montecitorio stasera.
Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Qui
si fa la democrazia o si muore!». Dopo di che, avuta notizia di
un’atmosfera tiepidina, pubblicò un post scriptum immortale: «P.s.
Arriverò a Roma durante la notte e non potrò essere presente in
piazza. Domattina organizzeremo un incontro...». E le barricate
contro i golpisti? Uffa...
I
voti perduti
Il
guaio è che lui stesso sembra sempre meno convinto di esser
ineluttabilmente destinato a vincere. E fa sempre più fatica a
spacciare per vittorie certe batoste. E in ogni caso, ecco il
problema principale, sono sempre meno convinti di vincere quanti
avevano visto in lui l’occasione per ribaltare tutto. Non
ripassano, certi autobus. Una volta andati, ciao. Prendete la
Calabria: conquistò 233 mila voti (quasi il 25%), alle politiche del
2013. Ne ha persi l’altra settimana duecentomila. E quando mai li
recupererà più? Con questa strategia, poi! «Non ci sono più
parole per descrivere il lento e inesorabile, ma tutt’altro che
inevitabile, suicidio del Movimento 5 Stelle», ha scritto ieri Marco
Travaglio, che pure non faceva mistero di averlo votato. «Un
suicidio di massa che ricorda, per dimensioni e follia, quello dei
912 adepti della setta Tempio del Popolo, che nel 1978 obbedirono
all’ultimo ordine del guru, il reverendo Jim Jones, e si tolsero la
vita tutti insieme nella giungla della Guyana».
Certo
è che mai ora,
Citazione
curiosamente appropriata.
Parole pesanti
E
via così. Anche sui temi più ustionanti, dove non è lecito
esercitare il battutismo: «La mafia è emigrata dalla Sicilia, è
andata al Nord, qui è rimasta qualche sparatoria, qualche pizzo e
qualche picciotto». «Hanno impedito a Riina e Bagarella di andare
al Colle per la deposizione di Napolitano per proteggerli: hanno già
avuto il 41 bis, un Napolitano bis sarebbe stato troppo». «La mafia
è stata corrotta dalla finanza, prima aveva una sua condotta morale
e non scioglieva i bambini nell’acido. Non c’è differenza tra un
uomo d’affari e un mafioso, fanno entrambi affari: ma il mafioso si
condanna e un uomo d’affari no». Una cavalcata pazza. Perdendo uno
dopo l’altro amici, simpatizzanti, osservatori incuriositi. Di
nemico in nemico. «Adesso Schulz dice che io sono come Stalin. Ma un
tedesco Stalin dovrebbe ringraziarlo, altrimenti Schulz sarebbe in
Parlamento con una svastica sulla fronte. Schulz, siamo un
venticello, lo senti? Arriva un tornado, comincia a zavorrarti
attaccato alla Merkel perché ti spazzeremo via». «Noi non siamo in
guerra con l’Isis o con la Russia, ma con la Bce!». «Faremo i
conti con i Floris e i “Ballarò”... Io non dimentico niente.
Siamo gandhiani ma gli faremo un culo così...».
E
poi barriti contro le tasse: «Siete sicuri che se pagassimo
tutti le tasse
questo Paese
sarebbe governato meglio? Ruberebbero il doppio». Contro l’ultimo
espulso: «Un pezzo di merda». Contro Equitalia: «È un rapporto
criminogeno tra Stato e cittadini». Contro l’inceneritore di
Parma: «Chi mangerà il parmigiano e i prosciutti imbottiti di
diossina?» Contro gli immigrati: «Portano la tubercolosi». Sempre
nella convinzione che il «suo» movimento potesse prendere voti a
destra e a sinistra, tra i padani e i terroni, tra i qualunquisti e i
politicizzati al cubo. Un «partito-tutto» contro tutto e tutti.
Finché, di sconfitta in sconfitta, non si è accorto che qualcosa,
nel rapporto col «suo» popolo, si stava incrinando. Che lui stesso
stava smarrendo l’arte superba di saper mischiare insieme la
potenza della denuncia e la leggerezza dei toni. Finché arrivò il
momento che, in una piazza qualsiasi, si accorse che la solita
battuta non tirava più. Capita anche ai clown più ricchi di genio.
Ma loro, se vogliono, possono inventarsi un altro numero.
Da
IL Corriere Della Sera.it
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