La parola vigliacca
Di Massimo Gramellini Vice Direttore de LA STAMPA
Quando
i messaggi in Rete divennero di uso comune, noi fanatici della
scrittura vivemmo un momento di rivalsa. L’oralità trionfante
cedeva sorprendentemente il passo a una comunicazione meno spudorata,
che avrebbe consentito anche ai timidi e ai riflessivi di fare
sentire la propria voce nella piazza dell’umanità. Mai previsione
è stata più stropicciata dalla realtà. Che si parli della malattia
di Emma Bonino o della liberazione delle ragazze rapite in Siria -
per limitarsi agli ultimi giorni - sul web si concentra un tasso
insostenibile di volgarità e di grettezza. Una grettezza cupa,
oltretutto, raramente attraversata da un refolo di ironia.
Non
mi riferisco al merito dei commenti. Nell’Occidente di Charlie
ciascuno è libero di esprimere le opinioni più urticanti, purché
rispettose della legge. No, è la forma dei messaggi che corrompe
qualsiasi contenuto. Una radiografia di budella, una macedonia di
miasmi, una collezione di frasi impronunciabili persino con se
stessi. Nessuna di queste oscenità pigiate sui tasti troverebbe la
strada per le corde vocali. Nessuno di quelli che per iscritto
augurano dolori atroci alla Bonino e rimpiangono il mancato stupro
delle cooperanti liberate avrebbe la forza di ripetere le sue
bestialità davanti a un microfono o anche solo a uno specchio. La
solitudine anonima della tastiera produce il microclima ideale per
estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste. Non in una
dimensione così allucinata, almeno. Per noi innamorati della parola
scritta è una sconfitta sanguinosa che mette in crisi antiche
certezze. Per la prima volta guardo il tasto «invio» del mio
computer come un nemico.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per il tuo commento !